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Criptovalute e potere: il grande scontro tra governi, industria e ideologie politiche

19 marzo, 2025

32 min

Criptovalute e potere: il grande scontro tra governi, industria e ideologie politiche
Intermedio

Da strumento di libertà finanziaria a minaccia per la stabilità monetaria: come le criptovalute sono diventate un tema politico e uno strumento economico per Stati, partiti e lobby finanziarie.

Negli ultimi dieci anni le criptovalute sono passate da fenomeno di nicchia a tema di dibattito politico globale, entrando anche nelle campagne elettorali. Politici di diverse posizioni ideologiche hanno sviluppato una retorica specifica attorno a Bitcoin e simili, strumentalizzandole per promuovere le proprie visioni economiche. Parallelamente, vari governi hanno adottato strategie economiche opposte: alcuni hanno abbracciato le criptovalute con leggi pionieristiche, altri le hanno fortemente limitate o proibite. 

Anche l’industria delle criptovalute e della blockchain ha iniziato a influenzare attivamente la politica tramite lobby, finanziamenti e schieramenti a favore di candidati “crypto-friendly”. In questo report analizziamo: 

  • la retorica politica su criptovalute a destra e sinistra;
  • le politiche economiche governative di supporto o contrasto alle crypto, con decreti, leggi e operazioni concrete; 
  • il ruolo del settore industriale nel dibattito politico. 

Verranno forniti dati, esempi di campagne elettorali, dichiarazioni di leader e riferimenti normativi chiave per ciascun ambito, con un caso di studio specifico sul divieto cinese delle criptovalute e le sue implicazioni.

Retorica politica sulle criptovalute

La narrazione politica sulle criptovalute ha visto contrapposti entusiasmi e timori, spesso lungo linee ideologiche. Esponenti conservatori e di destra hanno in molti casi elogiato Bitcoin e affini come simbolo di libertà economica e innovazione, mentre figure progressiste e di sinistra ne hanno denunciato i rischi, dipingendo le crypto come strumenti speculativi fuori controllo. In realtà, il panorama è complesso e talvolta queste posizioni si contaminano, ma emergono trend distinti.

Retorica di destra e libertaria: “innovazione e libertà finanziaria”

Molti politici di orientamento liberale o conservatore hanno abbracciato una retorica positiva verso le criptovalute, presentandole come monete libere dal controllo statale e leva di innovazione economica. 

Retorica di destra negli Stati Uniti

Un esempio precoce fu nel 2015 il senatore statunitense Rand Paul – di area libertaria Repubblicana – che divenne il primo candidato presidenziale USA ad accettare donazioni in Bitcoin. Questa mossa si allineava con la sua critica allo stato di sorveglianza finanziaria e la visione libertaria di ridurre l’ingerenza del governo nell’economia. In generale, la destra liberale ha spesso celebrato Bitcoin come “oro digitale” o scudo contro l’inflazione generata dalle banche centrali. Ad esempio, esponenti vicini all’ex presidente USA Donald Trump hanno dichiarato apertamente che “le crypto riguardano la libertà e l’economia crypto è qui per restare”, sottolineando come le valute digitali offrano agli individui autonomia dal sistema finanziario tradizionale. 

Lo stesso Trump, inizialmente scettico (nel 2021 definì Bitcoin “una truffa che compete col dollaro”, in vista delle elezioni 2024 ha invertito la rotta presentandosi come candidato “pro-crypto”, arrivando a raccogliere milioni in donazioni in Bitcoin, Ether e altre monete. La sua campagna ha persino inquadrato l’accettazione di criptovalute come atto di protesta contro il “controllo socialista” del sistema finanziario. Questa evoluzione testimonia come la destra populista cerchi di capitalizzare sul sentimento anti-establishment legato alle crypto, identificandole con indipendenza economica, innovazione e rifiuto dei controlli governativi.

Retorica di destra in Europa

Anche in Europa vediamo una retorica simile a destra. Stefan Berger, eurodeputato conservatore tedesco, difendendo Bitcoin dalle critiche ambientaliste della sinistra, ha affermato polemicamente: “La sinistra odia Bitcoin perché non può controllarlo… Il fatto che il valore crypto sia determinato da domanda e offerta è una spina nel fianco della sinistra”. Questa dichiarazione riassume il punto di vista di certa destra: le criptovalute incarnano un mercato libero decentralizzato, sottratto a banche centrali e pianificazioni statali, e per questo osteggiate da chi preferisce più intervento pubblico. 

Retorica di destra in Asia

In Asia, un caso emblematico è la Corea del Sud, dove nel 2022 il candidato conservatore Yoon Suk-yeol si è proclamato paladino delle crypto: ha persino emesso NFT collezionabili durante la campagna elettorale per coinvolgere i giovani elettori e ha promesso drastici sgravi sulle tasse crypto. Yoon ha proposto di alzare la soglia esentasse sulle plusvalenze da criptovalute da ~$2.000 a ~$40.000, rendendola la più alta al mondo, e si è detto favorevole a rivedere il divieto delle ICO imposto nel 2017. Questa operazione esplicitamente crypto-friendly lo ha aiutato a conquistare il voto giovanile, segnando la prima elezione di un capo di stato dichiaratamente a favore delle criptovalute in Corea del Sud.

Retorica di sinistra e progressista: “scetticismo e richiesta di regole”

Sul fronte opposto, molti esponenti di sinistra, ambientalisti o socialdemocratici hanno assunto un tono critico, quando non ostile, verso le criptovalute. 

Retorica di sinistra negli Stati Uniti

La narrazione progressista sottolinea i rischi: volatilità, bolle speculative, uso criminale, impatto ambientale e mancanza di controllo democratico. Ad esempio, la rivista di sinistra Jacobin ha sostenuto che le criptovalute siano poco più di “asset speculativi che funzionano come uno schema Ponzi”, beneficiando i primi arrivati e richiedendo continuamente nuovi investitori per sostenere i prezzi. Questa visione riflette la diffidenza di parte della sinistra, che vede nelle crypto un prodotto della finanza deregolamentata e predatorio verso i piccoli risparmiatori.

Molti leader progressisti hanno usato una retorica forte invocando maggiore controllo. Negli Stati Uniti la senatrice democratica Elizabeth Warren è diventata una figura di spicco del fronte critico: si è autodefinita il “flagello delle crypto” costruendo una sorta di «Anti-Crypto Army» bipartisan per introdurre regole anti-riciclaggio più rigide. Warren avverte che il settore crypto, privo di adeguate tutele, minaccia consumatori e stabilità finanziaria, e paragona l’acquisto di Bitcoin a “comprare aria”.

La sua posizione, condivisa da altri liberal come il senatore Sherrod Brown, insiste sul fatto che spetti alle crypto dimostrare di essere “sicure, protette e superiori” alle soluzioni tradizionali – cosa che finora “non hanno fatto”, soprattutto dopo i clamorosi scandali e fallimenti del 2022. 

Emblematico è il richiamo di Warren al collasso di FTX come prova della malafede nel settore: “[Sam Bankman-Fried] ha cosparso di soldi Capitol Hill come acqua sporca, e nessuno all’epoca si è fermato a fare domande pertinenti” ha denunciato, criticando la ricezione acritica dei fondi da parte di alcuni politici. In Europa, la sinistra istituzionale ha espresso preoccupazioni simili. 

Retorica di sinistra in Europa

Verdi e Socialisti al Parlamento Europeo hanno tentato nel 2022 di emendare la normativa MiCA per vietare le criptovalute ad alto consumo energetico (come Bitcoin) a causa dell’impatto ambientale, sebbene senza successo. Figure del gruppo S&D (Socialisti & Democratici) hanno avvertito che senza regole stringenti, cripto-attività anonime possano facilitare evasione fiscale e traffici illeciti, minando al contempo il controllo delle banche centrali sulle politiche monetarie.

Anche governi di sinistra in America Latina hanno dipinto le crypto in termini negativi: in Bolivia, già nel 2014, un governo socialista le bandì definendole “una minaccia alla stabilità economica” (il divieto è tuttora in vigore), mentre in Argentina esponenti peronisti hanno parlato di “bolla finanziaria” riferendosi al Bitcoin durante la crisi inflattiva, preferendo promuovere valute digitali di banca centrale sotto controllo pubblico.

Va notato, tuttavia, che non tutta la sinistra è monoliticamente anti-crypto. Alcuni progressisti vedono un potenziale nell’uso sociale della blockchain, ad esempio per sistemi finanziari più trasparenti o monete complementari locali.

Nell’ecosistema Ethereum, per esempio, esiste una corrente di pensiero techno-progressista (a volte definita “radical market”) che intravede nella finanza decentralizzata strumenti per “costruire una società più egualitaria e giusta”, in sintonia con istanze del socialismo democratico. Tuttavia, queste idee rimangono teoriche e minoritarie rispetto alla retorica dominante a sinistra, che continua a enfatizzare controllo pubblico, regolamentazione rigorosa e prudenza di fronte al fenomeno crypto.

Strategie economiche dei governi: supporto vs. contrasto alle crypto

L’ultimo decennio ha visto governi di vari Paesi oscillare tra sperimentazione audace con le criptovalute e misure repressive per limitarne la diffusione. Le politiche adottate – che spaziano dall’adozione ufficiale di Bitcoin come moneta legale fino a divieti totali – sono spesso figlie sia dell’orientamento politico dei governi sia delle circostanze economiche locali.

Di seguito confrontiamo approcci opposti: da un lato i governi che hanno promosso o integrato le criptovalute nelle proprie economie, dall’altro quelli che le hanno osteggiate con normative restrittive. Si evidenziano anche i cambiamenti di posizione nel tempo e le motivazioni alla base di queste scelte.

Governi che hanno abbracciato le criptovalute  

Alcuni Stati, soprattutto in via di sviluppo o con economie particolari, hanno visto nelle criptovalute un’opportunità da cogliere.

El Salvador: il primo paese al mondo pro Bitcoin

Il caso più emblematico è El Salvador, che nel 2021 è diventato il primo Paese al mondo a dare corso legale al Bitcoin. Su proposta del presidente Nayib Bukele, il Parlamento salvadoregno approvò una legge che riconosce Bitcoin come valuta a corso legale accanto al dollaro americano.

Bukele ha motivato la mossa in termini di strategia economica nazionale: favorire le rimesse degli emigrati (riducendo le commissioni dei trasferimenti in dollari) e attrarre investimenti e turismo nel Paese. “Porterà inclusione finanziaria, investimenti, turismo, innovazione e sviluppo economico al nostro Paese”, ha twittato Bukele poco prima del voto. 

In concreto El Salvador ha lanciato l’app “Chivo Wallet” per diffondere l’uso di BTC tra i cittadini, regalando l’equivalente di 30$ in Bitcoin ad ogni utente, e ha installato sportelli Bancomat Bitcoin. Inoltre, il governo salvadoregno ha acquistato Bitcoin per le proprie riserve e annunciato progetti futuristici come la Bitcoin City, una città a tassazione zero finanziata da titoli di Stato legati a Bitcoin. 

Questa scommessa, fortemente voluta da Bukele (un leader populista di destra), è stata presentata come atto di sovranità economica e di rottura col FMI: nonostante i moniti delle istituzioni finanziarie internazionali sui rischi di stabilità, El Salvador ha raddoppiato la posta, convinto che la valorizzazione futura di Bitcoin risanerà i conti e renderà il Paese un hub innovativo. Finora i risultati sono misti – con bassa adozione interna e perdite temporanee sulle riserve durante i ribassi – ma politicamente Bukele ha usato Bitcoin per rafforzare un’immagine di leader anti-establishment e visionario.

Repubblica Centrafricana: adotta BTC come valuta legale

Un altro esempio di adozione ufficiale è la poco nota Repubblica Centrafricana, che nel 2022 ha annunciato a sorpresa di aver adottato Bitcoin come valuta legale (secondo Paese al mondo a farlo). In questo caso, motivazioni e outcome sono meno chiari: si ipotizza il tentativo di aggirare l’isolamento economico e attrarre investimenti esteri in una delle economie più povere, ma problemi infrastrutturali hanno limitato finora l’impatto reale. 

Venezuela: lancia la sua criptovaluta di Stato

Anche il regime autoritario del Venezuela (governo chavista di sinistra) ha tentato una via originale: nel 2018 lanciò il Petro, una criptovaluta di Stato teoricamente agganciata alle riserve petrolifere, con l’idea di eludere le sanzioni internazionali e raccogliere valuta estera. Il Petro però si è rivelato principalmente una mossa propagandistica – poco utilizzato nella pratica – ma segnala come persino un governo socialista, in crisi di liquidità, abbia provato a strumentalizzare le crypto come valvola di sfogo finanziaria.

Malta, Singapore, Svizzera e Dubai: aspiranti hub per l’industria crypto

Diversi Paesi hanno scelto un approccio promozionale e regolamentare favorevole per posizionarsi come hub per l’industria blockchain. Malta, ad esempio, a fine anni 2010 si è autoproclamata “Blockchain Island” varando normative pionieristiche per attrarre exchange e startup (come il Virtual Financial Assets Act del 2018). 

Singapore e Svizzera hanno creato ambienti normativi chiari e relativamente permissivi: la Svizzera in particolare, pur non adottando crypto come moneta legale, le riconosce di fatto come valute straniere tassabili e ha integrato la blockchain nel proprio quadro giuridico (es. il Canton Zug accetta il pagamento di alcune tasse in Bitcoin). 

Nel Medio Oriente, Dubai (UAE) ha fondato un ente regolatore specifico (VARA) per concedere licenze a operatori crypto, puntando a diventare un centro finanziario innovativo. 

Questi governi, spesso guidati da logiche pragmatiche più che ideologiche, sostengono le criptovalute per creare nuovi mercati e posti di lavoro, diversificare l’economia e anticipare un futuro digitale. Il comune denominatore è la volontà di incanalare il fenomeno entro regole invece di vietarlo, con leggi ad hoc. 

La regolamentazione nell’Unione Europea

L’Unione Europea stessa, dopo anni di dibattiti, nel 2023 ha approvato una normativa organica sulle cripto-attività (il regolamento MiCA), prima giurisdizione sovranazionale a farlo.

Questo “quadro normativo ampio e rigoroso” per gli asset digitali e i fornitori di servizi mira sia a proteggere i consumatori che a “promuovere l’integrità del mercato” e l’innovazione in modo regolamentato. In sostanza l’UE ha scelto di non bannare le crypto, ma di assoggettarle a licenze, requisiti patrimoniali per gli emittenti di stablecoin, obblighi di trasparenza e sostenibilità – segno che alcuni governi preferiscono sfruttare la tecnologia in modo controllato, piuttosto che proibirla e perderne i benefici potenziali.

Governi che hanno contrastato le criptovalute  

Sul lato opposto, numerosi Paesi hanno attuato politiche restrittive, dettate da preoccupazioni su criminalità finanziaria, volatilità e tutela della sovranità monetaria. 

La Cina: crypto illegali per il monopolio con lo yuan digitale

Il caso più eclatante è quello della Cina, dove il governo ha progressivamente inasprito il giro di vite fino a imporre un ban totale sulle transazioni crypto. Già dal 2013 la Banca Popolare Cinese vietò alle istituzioni finanziarie di trattare Bitcoin; nel 2017 Pechino bandì le ICO (Initial Coin Offering) e chiuse le piattaforme di scambio domestiche; infine, a settembre 2021, è arrivato il divieto generale: tutte le transazioni in criptovalute sono state dichiarate illegali e il mining (l’industria di estrazione di Bitcoin in cui la Cina eccelleva) era stato già represso pochi mesi prima. 

La retorica ufficiale cinese giustifica queste misure con la necessità di “prevenire i rischi per la stabilità finanziaria” e reprimere il riciclaggio di denaro e la fuga di capitali. In realtà, la leadership di Pechino vede nelle criptovalute decentralizzate anche una minaccia al proprio stretto controllo sull’economia e potrebbe aver agito per spianare la strada alla propria valuta digitale di banca centrale (lo yuan digitale). 

L’India opta per il deterrente fiscale contro le crypto

L’India ha avuto un atteggiamento oscillante ma prevalentemente restrittivo: nel 2018 la Banca centrale indiana (RBI) vietò alle banche di offrire servizi a imprese crypto (un ban de facto del trading, poi annullato dalla Corte Suprema nel 2020). Successivamente il governo Modi, pur rinunciando a un divieto totale, ha introdotto nel 2022 una tassazione punitiva: aliquota fissa del 30% su tutti i profitti da crypto, più una ritenuta alla fonte dell’1% su ogni transazione

La ministra delle Finanze Nirmala Sitharaman spiegò che questo non implica riconoscere le crypto come moneta avente corso legale o valore intrinseco, ma “se generano reddito, quel reddito è tassabile sovranamente”, aggiungendo che l’1% di TDS su ogni scambio serve anche a tracciare chi compra e vende. Di fatto, l’India ha scelto di rendere poco conveniente l’utilizzo delle criptovalute senza vietarle espressamente, un deterrente che ha causato un crollo dei volumi sulle piattaforme locali a vantaggio di mercati esteri.

La posizione di Regno Unito, Turchia e Nigeria

Molti altri Paesi hanno imposto limitazioni parziali. La Turchia, di fronte al crollo della lira e all’uso dilagante di Bitcoin come rifugio, nel 2021 ha vietato l’uso delle crypto come mezzo di pagamento (pur senza proibire il trading o il possesso). La motivazione ufficiale fu impedire attività illegali e proteggere la stabilità monetaria nazionale. 

Allo stesso modo la Nigeria, che pure ha uno dei tassi di adozione crypto più alti al mondo, nel 2021 ha ordinato alle banche di bloccare conti associati a trading di criptovalute, cercando di arginare la fuga di valore dal naira. Ciò non ha fermato i nigeriani, che sono passati a piattaforme peer-to-peer, ma indica il dilemma dei governi: tutelare la propria valuta e sistema bancario sentito in pericolo dall’economia crypto parallela. 

Persino in Europa ci sono esempi di restrizioni: nel Regno Unito, le autorità di vigilanza finanziaria (FCA) nel 2021 hanno proibito ai piccoli investitori retail di operare con derivati sulle criptovalute, ritenendoli prodotti “ad alto rischio e inappropriati per i consumatori”.

Governi che hanno cambiato radicalmente la loro posizione

Il caso dell’Argentina: un cambio radicale con Milei

L’Argentina rappresenta un caso emblematico di come la politica e l’economia possano influenzare drasticamente l’adozione delle criptovalute. Il paese ha attraversato un lungo periodo di crisi finanziaria, con un’inflazione che ha spesso superato il 100% annuo. In questo contesto, le criptovalute, e in particolare le stablecoin come Tether (USDT) e USD Coin (USDC), sono diventate uno strumento chiave per proteggere il valore dei risparmi dei cittadini.

Fino al 2023, il governo peronista aveva mantenuto un atteggiamento ambiguo nei confronti delle crypto: sebbene il loro utilizzo fosse legale, il controllo dei cambi valutari e le tasse elevate sulle transazioni in dollari avevano reso complesso il loro utilizzo a livello istituzionale.

Tuttavia, l’elezione di Javier Milei alla presidenza ha segnato un punto di svolta. Milei, noto per le sue posizioni ultra-liberiste e la sua forte opposizione alla Banca Centrale argentina, ha espresso apertamente il suo supporto per le criptovalute come mezzo per sfuggire al controllo statale. Durante la sua campagna elettorale, ha più volte dichiarato che Bitcoin rappresenta “il ritorno del denaro privato” e un’alternativa alla manipolazione monetaria operata dalle banche centrali.

Dopo l’insediamento di Milei, l’Argentina ha iniziato a smantellare i controlli sul cambio valutario e ad aprire alla possibilità di utilizzare criptovalute in modo più libero. Sebbene non sia ancora stata presa la decisione di adottare Bitcoin come moneta a corso legale, il nuovo governo ha mostrato segnali di maggiore apertura verso il settore crypto, attirando l’interesse di investitori e aziende del settore. Questo potrebbe rappresentare un test importante per comprendere come un’economia emergente possa integrare le criptovalute in un contesto di alta inflazione e instabilità economica.

Stati Uniti: da contro a pro  

Va sottolineato che diverse giurisdizioni hanno mutato approccio nel tempo, spesso reagendo agli eventi di mercato. Gli Stati Uniti hanno attraversato fasi alterne: fino al 2017 hanno mantenuto un atteggiamento relativamente laissez-faire, poi di fronte al boom delle ICO e a truffe evidenti, la SEC iniziò a sanzionare duramente i progetti irregolari. 

Negli ultimi anni la politica USA in materia è diventata terreno di scontro politico: alcuni congressisti spingono per regolamentare e legittimare le crypto (es. il disegno di legge Lummis-Gillibrand, bipartisan, per creare regole chiare sul settore), mentre altri invocano strette più severe.

L’amministrazione Biden ha adottato un approccio prudente, con un ordine esecutivo nel 2022 per studiare rischi e benefici delle crypto, ma nel frattempo gli organi di vigilanza (SEC, CFTC, Tesoro) hanno intensificato controlli ed enforcement – azioni percepite dall’industria come un “attacco” coordinato, soprannominato Operation Choke Point 2.0

Dal canto suo, il Partito Repubblicano sta sempre più spesso criticando questi eccessi regolatori, accusando i Democratici di soffocare l’innovazione finanziaria, e promette un ambiente più favorevole in caso di vittoria (come testimoniato dall’apertura di Trump verso le crypto nella sua nuova candidatura).

Integrazione e repressione: la propaganda

In sintesi, le strategie governative spaziano tra due estremi: integrazione vs. repressione. Le motivazioni per abbracciare le crypto includono la ricerca di vantaggi economici (inclusione finanziaria, attrazione di capitali, indipendenza dalle valute forti) e talvolta una vena ideologica anti-establishment. 

Le motivazioni per contrastarle invece risiedono nella difesa dell’ordine economico tradizionale (protezione del risparmio, controllo del capitale, salvaguardia della propria moneta) e nella volontà di proteggere i cittadini da frodi, bolle o perdite. 

Spesso poi entrano in gioco considerazioni pratiche: per la Cina, impedire la fuga di capitali e mantenere il firewall finanziario; per l’India, evitare che un fenomeno non regolamentato sfugga al fisco e al controllo; per paesi occidentali, prevenire utilizzi illeciti (riciclaggio, ransomware) delle criptovalute.

Da notare che alcuni governi che osteggiavano le crypto hanno parallelamente promosso CBDC (Central Bank Digital Currency) nazionali – come la Cina con lo yuan digitale o la Nigeria con l’eNaira – segno che non rifiutano la tecnologia in sé, ma vogliono incanalarla in forme centralizzate e controllate dallo Stato.

regolamentazione criptovalute paesi del mondo

Caso di studio: la Cina e il ban “inefficace”

Un capitolo a parte merita la Cina, sia per la severità del suo bando sia per le conseguenze paradossali. Come visto, entro il 2021 la Repubblica Popolare Cinese ha ufficialmente messo al bando ogni attività legata alle criptovalute, dalle piattaforme di scambio al mining, dichiarandole illegali. Tuttavia, questa proibizione draconiana non ha eliminato il fenomeno all’interno dei confini cinesi – al contrario, lo ha spinto nella clandestinità senza spegnerlo.

La Cina resta uno dei paesi del mondo con maggior adozione

Dal lato del trading, subito dopo la chiusura degli exchange domestici molti investitori cinesi sono migrati verso soluzioni alternative: uso di VPN per accedere a piattaforme estere, trading OTC (over-the-counter) tramite stablecoin come Tether (USDT) e gruppi privati su app di messaggistica. USDT in particolare è diventato la valuta ponte dominante in Cina per acquistare Bitcoin senza passare per il sistema bancario.

Malgrado i divieti, nel 2022 la Cina risultava ancora tra i primi 10 Paesi al mondo per adozione di criptovalute secondo l’indice Chainalysis. Un report di settembre 2022 ha evidenziato il dato sorprendente che la Cina era rientrata nella top 10 globale per utilizzo di Bitcoin e crypto, “a dimostrazione che il bando non ha impedito ai cinesi di usare Bitcoin”. Nel 2023, nonostante due anni di illegalità, la Cina si collocava ancora al 20° posto mondiale per adozione crypto secondo lo stesso indice, segno di un’attività sotterranea ma vivace. 

Le autorità cinesi hanno iniziato a colpire anche questi escamotage – ad esempio nel 2023 la magistratura ha avvertito che anche scambiare stablecoin USDT per ottenere valuta estera è un reato perseguibile, e si sono registrati arresti di cittadini sorpresi a fare da broker clandestini con Tether (due uomini sono stati condannati a 5 anni per aver convertito ~4 milioni di dollari in USDT aggirando i controlli valutari). Ciò nonostante, la dimensione decentralizzata e pseudonima delle crypto rende difficile una repressione assoluta: l’uso continua nei fatti, specialmente tra chi vuole aggirare i rigidi controlli sui movimenti di denaro.

Cina e mining: un esempio della resilienza crypto

Similmente, sul fronte del mining, il divieto cinese di maggio 2021 ha provocato un esodo di minatori verso altri Paesi (USA, Kazakistan, Russia ecc.), ma non tutti hanno smesso. Dopo alcuni mesi, è emerso che una quota significativa del hashrate globale di Bitcoin proveniva ancora dalla Cina, segno che molti impianti di mining erano passati in modalità clandestina. 

Secondo i dati del Cambridge Centre for Alternative Finance, la quota della Cina nella potenza di calcolo di Bitcoin era crollata da circa 34% a 0% tra giugno e luglio 2021, ma era risalita sorprendentemente al 22% già a fine settembre 2021.

In altri termini, buona parte dei miner cinesi aveva trovato il modo di continuare le operazioni – ad esempio spezzettando le farm in siti più piccoli e sparsi, o occultando il consumo elettrico – tanto che nel 2022 la Cina risultava ancora il secondo hub mondiale del mining di Bitcoin (circa 20% dell’hashrate), dietro agli Stati Uniti. Questo “gatto col topo” tecnologico evidenzia i limiti di un approccio proibizionista verso una rete decentralizzata: la resilienza della comunità crypto ha trasformato la Cina in un esperimento naturale su come le blockchain possano resistere anche a un grande stato ostile.

Perché le crypto resistono in Cina?

Le ragioni per cui il bando cinese non è riuscito a “spegnere” le crypto internamente risiedono anche nella forte domanda di tali asset tra la popolazione, motivata da fattori locali: restrizioni sui movimenti di capitale (molti usavano Bitcoin/USDT per portare ricchezza all’estero superando il limite di 50.000$ annui), sfiducia in altri canali d’investimento dopo crisi nel settore immobiliare, e semplice interesse speculativo. 

Inoltre, la Cina ha bandito le crypto transnazionali, ma allo stesso tempo promuove con decisione la propria CBDC (lo yuan digitale) e sostiene lo sviluppo di soluzioni blockchain di stato (ad es. la Blockchain-based Service Network, BSN, un’infrastruttura statale per applicazioni blockchain senza criptovalute pubbliche). 

Questo duplice atteggiamento – anti-cryptoprivata, pro-cryptostatale – mostra che l’obiettivo non era arrestare la tecnologia in sé ma mantenere il monopolio statale sulla moneta e i flussi finanziari. In definitiva, il caso cinese dimostra che vietare per decreto non basta: le criptovalute continuano a circolare in modo informale, e la Cina rimane paradossalmente uno dei principali utilizzatori globali di questi strumenti nonostante anni di divieti.

L’industria crypto e il suo ruolo nella politica

Mentre i governi dibattono come regolamentare o utilizzare le criptovalute, il settore privato e l’industria blockchain hanno progressivamente aumentato il loro peso politico. Negli ultimi anni, aziende crypto, investitori e gruppi di interesse collegati alle valute digitali sono diventati attori lobbyisti di rilievo, cercando di influenzare normative e sostenere candidati favorevoli. Questo coinvolgimento va da donazioni elettorali ingenti a campagne mediatiche e iniziative di base tra gli appassionati (“crypto voters”). Esaminiamo alcuni aspetti di questo fenomeno.

Finanziamento di campagne e lobby politica

Con la crescita vertiginosa di valore del settore (soprattutto tra 2017 e 2021), molte imprese e figure di spicco delle criptovalute hanno iniziato a reinvestire parte delle fortune in attività di lobby e contributi elettorali. 

119 milioni di dollari dall’industria crypto per i comitati elettorali

Negli Stati Uniti, in particolare, i cicli elettorali recenti sono stati caratterizzati da un afflusso di denaro “crypto” senza precedenti nella politica. Nel 2022, i dirigenti di società crypto e investitori legati al settore figuravano tra i maggiori donatori: Sam Bankman-Fried, fondatore dell’exchange FTX, donò ufficialmente oltre 40 milioni di dollari (soprattutto a candidati Democratici) prima di essere travolto dallo scandalo del fallimento FTX. 

Complessivamente, secondo analisi di OpenSecrets, l’industria delle criptovalute quadruplicò la spesa di lobby federale negli USA, passando a 21,6 milioni di dollari nel 2022, e le contribuzioni politiche da individui e PAC collegati al settore schizzarono a oltre 2,3 milioni diretti ai membri del Congresso nella tornata 2022 (con donazioni privilegiate ai parlamentari percepiti come più “crypto-friendly”). 

Queste cifre hanno reso le crypto uno dei comparti emergenti più attivi a Washington. Nel ciclo successivo (2024) i numeri sono ulteriormente lievitati: un report di Public Citizen evidenzia che nei soli primi mesi del 2024 le società crypto hanno versato oltre 119 milioni di dollari a comitati elettorali – una cifra che rappresentava il 44% di tutti i contributi provenienti da aziende ai super PAC quell’anno. 

La lobby crypto è alla pari della lobby dei combustibili fossili

In particolare è nato un super PAC denominato “Fair Crypto” (poi Fairshake PAC) finanziato quasi interamente da aziende del settore con l’obiettivo dichiarato di “eleggere candidati pro-crypto e sconfiggere gli scettici delle crypto”. Questa organizzazione ha raccolto oltre 114 milioni di dollari da corporate donors crypto, diventando di fatto il maggiore veicolo di spesa politica aziendale del 2024 negli USA. Tali cifre collocano il settore crypto tra i primi finanziatori in assoluto, superato solo (in alcuni periodi) dal settore dei combustibili fossili. Questo impegno finanziario massiccio mira chiaramente a spingere il legislatore verso normative più favorevoli o quantomeno evitare politiche repressive.

Coinbase e Binance al tavolo con i regolatori

L’influenza dell’industria non si limita ai soldi: vi è una vera e propria attività di lobby e public relations. Associazioni di categoria come la Blockchain Association e la Chamber of Digital Commerce a Washington, o l’European Crypto Initiative a Bruxelles, dialogano con i decisori fornendo studi, proponendo emendamenti normativi e cercando di plasmare la regolamentazione. Per esempio, durante la stesura di MiCA in UE, lobby del settore sono intervenute per mitigare proposte troppo restrittive (come l’ipotetico divieto del mining PoW, poi scongiurato). 

Negli USA, figure di spicco come Brian Armstrong (CEO di Coinbase) e Changpeng “CZ” Zhao (CEO di Binance) hanno spesso incontrato politici e regolatori, minacciando in alcuni casi di spostare le proprie attività in giurisdizioni più accoglienti se gli Stati Uniti adotteranno regole punitive. Questa competizione regolamentare globale viene abilmente sfruttata dall’industria: Stati come la Francia o la Emirati Arabi sono stati pubblicamente elogiati da dirigenti crypto per le loro normative bilanciate, mettendo pressione sui Paesi più rigidi a non “perdere il treno” dell’innovazione.

Schieramenti e sostegno a partiti o candidati

Un aspetto interessante è come l’industria e la comunità crypto tendano a schierarsi politicamente con chi meglio tutela i loro interessi, al di là delle tradizionali linee partitiche. Negli Stati Uniti questo ha portato a alleanze trasversali: inizialmente molti protagonisti crypto appoggiavano candidati libertari o repubblicani (coerentemente con l’ethos anti-regolamentazione), ma negli ultimi anni le donazioni si sono fatte bipartisan, puntando sui singoli esponenti favorevoli indipendentemente dal partito. 

Ad esempio, Bankman-Fried finanziò principalmente i Democratici moderati nel 2022, mentre un altro grande donatore come Ken Griffin (hedge fund manager vicino ai Repubblicani) investì in candidati del GOP pro-crypto. Nel 2024, con l’ostilità dichiarata di figure Dem come Warren, il settore sembra orientarsi di più verso i Repubblicani: i gemelli Winklevoss, fondatori di Gemini, hanno endorsato Donald Trump definendolo “pro-Bitcoin, pro-crypto, pro-business”, un chiaro segnale di appoggio politico.

Il mondo crypto è bipartisan

D’altro canto, nel mondo crypto esiste anche una componente ideologica che simpatizza con movimenti anti-sistema sia di destra che di sinistra: alcuni anarchici e cypherpunk vedono nelle crypto un mezzo per minare il potere delle banche centrali (posizione tipicamente di destra libertaria), ma anche per sfuggire al controllo di regimi autoritari e supportare movimenti per i diritti umani (valore caro alla sinistra liberale). Ad esempio, l’uso di Bitcoin è stato importante per finanziare dissidenti come l’organizzazione di Alexei Navalny in Russia o attivisti in Bielorussia, creando una strana convergenza tra tech-investitori occidentali e opposizioni progressiste nei paesi autoritari.

In alcune campagne elettorali, il sostegno dell’industria crypto è emerso in modo palese: Andrew Yang, candidato alle primarie democratiche USA del 2020, apertamente pro-crypto, ricevette entusiasmo dalla comunità tecnologica e donazioni in Bitcoin alla sua organizzazione. Francis Suarez, sindaco repubblicano di Miami noto per il suo approccio pro-Bitcoin (ha convertito parte del suo stipendio in BTC), ha ottenuto endorsement da imprenditori crypto nel considerare una sua corsa presidenziale. 

In Corea del Sud, come già citato, il team di Yoon Suk-yeol ha saputo coinvolgere attivamente figure dell’industria locale blockchain e giovani imprenditori crypto, guadagnandone appoggio e consulenza per definire le proposte di deregolamentazione del settore. Questo indica che il confine tra politica e industria si fa sottile: tecnici e CEO crypto partecipano al dibattito pubblico, talvolta candidandosi essi stessi (un esempio minore: il pioniere Brock Pierce si è candidato alle presidenziali USA 2020 da indipendente su piattaforma pro-blockchain).

Influenza sull’agenda e opinione pubblica

Infine, l’ecosistema crypto ha mobilitato anche le comunità di base a fini politici. Campagne sui social media con hashtag come #VoteCrypto incoraggiano gli appassionati a votare solo candidati favorevoli. Petizioni e consultazioni pubbliche su proposte di legge vedono migliaia di contributi organizzati da gruppi Telegram/Reddit di utenti crypto. 

Ad esempio, nel 2021 una controversa clausola nel pacchetto infrastrutture USA che ampliava la definizione di “broker” crypto per scopi fiscali fu momentaneamente osteggiata da una valanga di telefonate ed email ai senatori, coordinate dalla comunità crypto e da organizzazioni come Coin Center, riuscendo quasi a far modificare il testo.

Aziende come Coinbase hanno lanciato piattaforme informative per far sapere agli utenti dove si collocano i politici sulle crypto e facilitarne il coinvolgimento elettorale. Tutto ciò segnala l’emergere del “voto crypto” come nuovo blocco di interessi. Sebbene ancora minoritario rispetto ad altri temi, in competizioni serrate può fare la differenza: i policy makers ne sono consapevoli, tant’è che nel 2024 perfino candidati storicamente scettici hanno moderato i toni (o, come Trump, sono passati ad aperte lusinghe verso la comunità cripto).

Uno sforzo imponente di normalizzazione del tema crypto

L’industria stessa cerca di orientare il dibattito pubblico: finanzia studi e think tank, sponsorizza conferenze dove invita politici di spicco (nel 2023 la Bitcoin Conference ha ospitato sia esponenti repubblicani come Ted Cruz che democratici come Robert F. Kennedy Jr., entrambi lì per manifestare sostegno al settore).

Questa presenza nei media e nell’agenda pubblica contribuisce a normalizzare il tema crypto come legittimo argomento politico. Inoltre, dopo scandali come FTX, aziende rimaste sul mercato (Coinbase, Kraken, Ripple ecc.) hanno rafforzato i propri sforzi di pubbliche relazioni per distinguersi dai “cattivi attori” e convincere i regolatori di essere partner affidabili, talvolta appoggiando l’introduzione di regole pur di ottenere chiarezza normativa.

In conclusione, il settore delle criptovalute e blockchain è passato in breve tempo dall’essere un outsider estraneo alla politica a diventare un protagonista attivo nella formazione delle politiche. Con ingenti risorse economiche e una base di utenti globali appassionati, l’industria crypto ha saputo inserirsi nel gioco politico tradizionale: finanzia candidati, fa lobby sulle leggi, orienta il discorso pubblico e perfino supporta direttamente campagne elettorali innovative (come l’uso di NFT da parte di Yoon in Corea del Sud).

Questo coinvolgimento ha probabilmente contribuito a frenare regolamentazioni eccessivamente punitive in alcuni contesti, ma solleva anche interrogativi su conflitti di interesse e trasparenza, dato che una fetta sempre più ampia di denaro politico proviene da soggetti con forti interessi nel mantenere le criptovalute in rapida crescita e poco regolamentate.

Conclusioni

L’ultimo decennio ha evidenziato come le criptovalute siano ben più di una novità tecnologica: esse sono diventate un fatto politico. Da un lato hanno alimentato visioni utopiche di emancipazione economica e nuovi modelli di sviluppo – abbracciate da leader populisti di destra e tecnocrati liberali – dall’altro hanno suscitato l’allarme di chi teme il caos finanziario e la perdita di controllo pubblico – tipicamente esponenti di sinistra e autorità monetarie.

Queste contrapposizioni retoriche hanno influito su politiche concrete: alcune nazioni, come El Salvador, hanno integrato Bitcoin nel cuore della loro economia, mentre altre, come la Cina, hanno eretto muri legali per escluderlo. In mezzo stanno molte democrazie avanzate, che cercano un difficile equilibrio tra innovazione e regolamentazione: né frenare del tutto un settore promettente, né lasciarlo correre senza regole a rischio di consumatori e investitori.

Il panorama è dinamico: posizioni politiche si sono capovolte (Trump docet), governi inizialmente ostili hanno introdotto aperture (l’India stessa sta valutando un regime regolatorio internazionale coordinato anziché un ban unilaterale), mentre altri un tempo permissivi hanno stretto le maglie dopo scandali (si pensi alla Svizzera, costretta a rivedere le sue policy AML quando una sua banca crypto è stata coinvolta in riciclaggio).

Le motivazioni dietro questi cambi di rotta spesso combinano pragmatismo economico – ad esempio sfruttare la blockchain per modernizzare i servizi finanziari o lanciare una propria moneta digitale nazionale – e considerazioni politiche – come compiacere un elettorato giovane pro-innovazione, o al contrario rispondere all’opinione pubblica scottata da truffe e crash di mercato invocando regole severe.Nel frattempo, il settore privato crypto si è organizzato per difendere i propri interessi, divenendo una forza di pressione politica di tutto rispetto.

Questa convergenza tra tecnologia, finanza e politica rende probabile che il dibattito sulle criptovalute resti acceso anche nei prossimi anni. Osservando le tendenze globali, è plausibile che sempre più Paesi adotteranno normative specifiche (sull’onda di MiCA in UE), forse qualcuno seguirà El Salvador nell’adozione di Bitcoin (si parla di piccoli stati come Tonga), e allo stesso tempo le criptovalute continueranno ad essere uno strumento usato da movimenti politici alternativi e gruppi economici per sfidare lo status quo. In definitiva, le criptovalute sono diventate sia oggetto di scontro politico-ideologico sia strumento tattico nelle mani di attori politici ed economici.

Comprenderne l’utilizzo in campagna elettorale e nelle strategie governative degli ultimi dieci anni ci aiuta a intravedere come potrebbe evolvere il rapporto – non sempre facile – tra potere statale e innovazione finanziaria decentralizzata nel prossimo futuro.

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