Internet of Things e Blockchain: come funzionerà il Web 3.0
25 luglio, 2022
11 min

Fin dalla nascita, Internet è stato caratterizzato da un inarrestabile processo di evoluzione: l’innovazione riguarda soprattutto l’integrazione con altre tecnologie, come la blockchain.
Oggi stiamo assistendo al passaggio cruciale dal Web 2.0, fase dominata dai social network (Facebook) e dalle Big Tech (Google, Amazon, Apple, Microsoft), alla versione 3.0: decentralizzazione, proprietà dei contenuti e Edge Computing hanno dato inizio ad una nuova tendenza, l’Internet of Things (IoT). Un network di dispositivi “intelligenti”, talvolta supportati dalle capacità di calcolo ed archiviazione del Cloud, ecco cos’è l’Internet of Things: quale ruolo potrebbero avere le criptovalute in questa applicazione del Web 3.0?
Che cos’è l’Internet of Things (IoT)
La definizione di Internet of Things (IoT), in italiano tradotto come “internet delle cose” (o degli oggetti), potrebbe essere questa: un network di oggetti fisici, connessi attraverso internet, per lo scambio delle informazioni raccolte e/o elaborate. Si può intuire che il termine IoT comprende “cose” molto diverse fra loro, non è quindi semplice trovare una risposta precisa alla domanda “che cos’è l’Internet of Things”.
Un esempio potrebbe aiutarci: le “smart car” sono veicoli con sensori, dispositivi e software applicativi integrati che, se connessi al Cloud attraverso Internet, possono costituire un sistema IoT. Le nostre macchine hanno già elementi “smart”: monitorano costantemente qualsiasi parametro di funzionamento e lo analizzano per consigliare interventi (la cosiddetta “manutenzione predittiva”). Oltre agli strumenti diagnostici, le smart car integrano smartphone e altri dispositivi, attraverso Bluetooth, USB, e WiFi, per fornire informazioni e intrattenimento; l’NFC (Near Field Communication), invece, rende possibile il car sharing. Infine, la guida autonoma sarebbe impossibile senza l’IoT: deriva da comunicazioni con altri veicoli per prevenire collisioni, infrastrutture per la gestione del traffico, e il network per ricevere report sul traffico e le condizioni atmosferiche.
Questo primo sguardo all’Internet of Things ci ha mostrato una struttura divisa in dispositivi e livelli di comunicazione. I paragrafi successivi rappresentano proprio il percorso seguito dalle informazioni in un sistema IoT, quindi osservane la consequenzialità.
Sensori/Dispositivi
I sensori sono dispositivi, o parti di dispositivi, che raccolgono informazioni dall’ambiente e le traducono in dati grezzi, al fine di inviarli ad altre unità dell’IoT. Il loro compito principale è, appunto, trasformare fenomeni fisici (temperatura, battito cardiaco, composizione dell’aria, ecc) in dati digitali. Pensa all’IoT come se fosse un organismo “virtuale”. I 5 sensi fungono da sensori per il sistema, monitorando l’ambiente: inviano le sensazioni (fenomeni fisici) attraverso il sistema nervoso (il protocollo di comunicazione) per raggiungere il cervello (il cloud). Qui le informazioni vengono registrati con la memoria (storage) ed elaborate (computing) per trovare soluzioni. Queste verranno poi tradotte in comandi da inviare ad altri centri nervosi (attuatori) che li indirizzeranno agli arti (target), per modificare le condizioni dell’ambiente che circonda l’organismo.
Protocolli di comunicazione (connectivity layer)
I dati aggregati dai sensori devono essere trasmessi ad altri dispositivi, alle “smart gateway” o al Cloud, perciò i dispositivi periferici dell’IoT hanno bisogno di un linguaggio per comunicare.
I protocolli e gli standard esistenti possono essere divisi per distanza di competenza: WiFi, Bluetooth ed NFC (Near Field Communication), ad esempio, gestiscono le comunicazioni a corto raggio; mentre, per inviare dati al Cloud attraverso internet, avremo bisogno di un protocollo TCP/IP.
Smart Gateway (security e management layer)
Tutti i sensori potrebbero connettersi direttamente al Cloud attraverso internet, ma questo richiederebbe molta energia. Perciò, si preferisce trasferire i dati raccolti ad una smart gateway, attraverso WiFi o Bluetooth ad esempio, che gestirà le comunicazioni bidirezionali con il Cloud.
L’intermediazione delle gateway ha anche altri scopi:
- mantenere la sicurezza, controllando gli accessi all’IoT e crittografando i dati;
- trasmettere i comandi agli attuatori;
- eseguire un’elaborazione preliminare dei dati, così da riassumerli e trasmettere solo quelli rilevanti, riducendo anche la latenza delle comunicazioni.
Cloud (computing e storage layer)
I dati raccolti dai sensori vengono analizzati, processati, e conservati nel Cloud, ovvero l’insieme delle risorse software messe a disposizione dal network di Internet. Qui i dati reali trovano uno scopo: vengono organizzati per essere utili ad altri dispositivi IoT. In realtà, il Web3 sarà caratterizzato anche da un modo diverso di elaborare le informazioni: l’Edge Computing. In poche parole, la computazione dei dati viene ulteriormente decentralizzata, in senso spaziale, e trasferita ai singoli dispositivi che stanno alla “periferia” del sistema IoT: i dispositivi processano in autonomia i dati raccolti, riducendo il traffico e migliorando le prestazioni del network, ciò che già accade con smartphone, smartwatch e computer.
Attuatori
Le informazioni raccolte dai sensori, dopo essere state processate dal cloud o da hardware, potrebbero segnalare la necessità di un cambiamento. Perciò, esse vengono trasformate in comandi ed inviate agli attuatori, che a loro volta causeranno la risposta di oggetti target: strumenti o altre entità fisiche in grado di esercitare un’influenza sull’ambiente, così da modificarne lo stato. Gli attuatori, dunque, non agiscono direttamente sul contesto, ma delegano il compito agli oggetti target.
NB: una “smart home” spesso implica connessione diretta tra sensori e attuatori, senza necessità o con minima computazione, perciò esclude il collegamento ad internet e al cloud. Nonostante ciò, la domotica è spesso considerata un esempio di IoT.
Applicazioni/interfacce utente
L’Internet of Things non è solo automazione, l’utente ha un ruolo fondamentale. Attraverso applicazioni e interfacce, spesso ospitate in dispositivi come smartphone, tablet o smartwatch, noi possiamo interagire con l’IoT e sfruttarlo per i nostri scopi. Non solo possiamo controllare da remoto i nostri oggetti “intelligenti”, ordinando cambiamenti, ma possiamo impostare le nostre “preferenze” e ricevere notifiche personalizzate dai sensori.
L’IoT, però, ha utilità anche oltre il quotidiano: ricercatori di ogni settore possono sfruttare la potenza di calcolo del Cloud per processare i Big Data raccolti dai sensori, utili a fini statistici e sperimentali.
Big Data
Il termine Big Data fa riferimento ad un grande insieme di dati, più o meno strutturati per volume, velocità e varietà, concetto noto come le tre V. La complessità dei Big Data è processata attraverso metodi computazionali avanzati, alla ricerca di modelli, tendenze e correlazioni, utili a prevedere eventi futuri, analizzare il comportamento umano o al “machine learning”.
Avendo capito che cos’è l’Internet of Things (IoT), forse avrai intuito l’importanza dell’interoperabilità nel network di oggetti, la necessità di un registro condiviso per le informazioni e il valore della condivisione di risorse. Ti suona familiare? Sono caratteristiche della tecnologia blockchain, di cui le criptovalute sono i principali prodotti. Dunque, la blockchain è compatibile con gli scopi dell’IoT? Vediamo quali applicazioni potrebbe avere, osservando alcuni casi d’uso.
Blockchain e IoT: decentralizzazione, affidabilità e sicurezza
La blockchain è rinomata per le soluzioni in campo finanziario, dato che la criptovaluta Bitcoin è stata la prima applicazione di questa tecnologia. I blocchi, tuttavia, potrebbero contenere informazioni diverse dai soli scambi di coin e token: qualsiasi dato può essere registrato in modo immutabile e distribuito. Perciò, perché non usare la blockchain come layer di comunicazione tra dispositivi IoT? Questo risolverebbe alcune criticità dell’Internet of Things.
Le informazioni registrate dai sensori sono utili solo se veritiere, dunque la forma attuale dell’IoT usa un meccanismo di validazione basato su intermediari (gateways) ed entità centralizzate. La blockchain, invece, trasformerebbe la struttura dell’IoT da Client/Server a Peer-to-Peer: distribuire la verifica delle informazioni, attraverso meccanismi di consenso (come nelle criptovalute), può essere utile per curare l’affidabilità sin dal principio del processo; questo renderebbe l’IoT un sistema trustless, supportando così comunicazioni dirette tra dispositivi, senza quindi la necessità di essere intermediate.
La maggior parte delle unità nell’IoT è già inserita in una Public Key Infrastructure (PKI), ma se i messaggi cifrati, attraverso l’identità crittografica, fossero registrati su blockchain, darebbero origine ad una “reputazione”. Oltre a sapere se un dispositivo ha uno “storico” attendibile, i blocchi conserverebbero anche cosa ha trasmesso e a chi, in modo trasparente e sempre accessibile in una cronologia eterna. Nonostante la tracciabilità delle comunicazioni, ogni entità conserva la sua privacy, essendo rappresentata da stringhe alfanumeriche. La sicurezza della crittografia, se estesa all’intero network, potrebbe allontanare l’eventualità di attacchi DDoS (Distributed Denial of Service): l’architettura a doppia chiave contrasterebbe i tentativi di hack.
In ultimo, l’IoT avrebbe a disposizione anche la tecnologia degli smart contract, supportata da molte blockchain. La struttura dell’IoT potrebbe così liberarsi degli “attuatori”, sostituendoli con software decentralizzati su blockchain.
Approfondimento: Supply chain, Cloud storage e IOTA
Esistono già esempi di applicazione della tecnologia blockchain all’IoT, dimostrazione di diversi casi d’uso: osserviamo insieme alcune delle soluzioni costruite fin’ora.
La prima applicazione combinata di blockchain e IoT può essere trovata nelle supply chain, in italiano catene di approvvigionamento: la rete di entità (aziende e persone), attività, risorse ed informazioni che permette di consegnare prodotti e servizi al consumatore finale. Un esempio potrebbe essere il network di fornitori, magazzini e supermercati che ci fa trovare i prodotti sugli scaffali.
Questo processo necessita di stretto monitoraggio per rispettare standard di sicurezza, igienici e di sostenibilità ma anche di efficienza e profittabilità. Perciò, tracciare la merce a diversi livelli è essenziale: i sensori IoT possono rilevare qualsiasi tipo di parametro utile alle supply chain, come posizione dei prodotti o condizioni di stoccaggio, inviarli al cloud per l’elaborazione e, dopodichè, stimolare interventi; mentre, la blockchain può registrare in modo distribuito tutti i dati generati in questo scambio. Ciò permette di ricostruire i percorsi dei materiali, dalla produzione, alla distribuzione, fino alla vendita, e di formulare analisi predittive e prescrittive, per ottimizzare i processi e coordinare le unità.
Esiste già un’implementazione di IoT e blockchain nelle supply chain, è stata presentata all’evento Polkadot Decoded a fine giugno 2022: si tratta di Origin Trail, un’infrastruttura multichain (Ethereum, Polygon e parachain Polkadot, tra le altre) che raccogliere informazioni e le organizza in blockchain attraverso i knowledge graph, rendendole affidabili e consultabili.
La seconda intersezione tra IoT e blockchain avviene nella componente Cloud: le risorse elaborate e contenute qui possono essere anche amministrate dalla tecnologia blockchain in modo decentralizzato. A tal proposito, abbiamo già parlato del cloud storage di IPFS, Storj, Filecoin e dell’indicizzazione dei dati di The Graph in questo articolo, ma riassumiamo brevemente. I dati provenienti dai dispositivi IoT possono essere immagazzinati nell’archivio decentralizzato di IPFS: gli utenti dotati di hardware inutilizzati possono contribuire prestando il loro spazio di memoria, ricevendo in cambio token come FIL o STORJ. Infine, gli archivi decentralizzati possono ospitare le informazioni generate dall’IoT, ma come recuperarle? The Graph rende semplice trovare qualsiasi dato registrato su blockchain.
Il terzo esempio riguarda l’integrazione tra l’IoT e le Distributed Ledger Technology (DLT), il gruppo di cui anche la blockchain fa parte: il registro distribuito di IOTA e la sua criptovaluta MIOTA sono progettati per immagazzinare ed elaborare le transazioni generate dai dispositivi IoT. La struttura adibita alla verifica delle informazioni scambiate è detta Tangle: basata su directed acyclic graph (DAG), un protocollo che processa più messaggi in parallelo. Il Tangle differisce dalla blockchain perché, in quest’ultima, le transazioni hanno un singolo punto di “aggancio”, ovvero il prossimo blocco, prodotto singolarmente da un solo nodo. Mentre, nel network di IOTA, ogni nuovo messaggio può essere attaccato fino ad altri 8 che l’hanno preceduto, senza creare blocchi o scegliere un leader per la validazione. In IOTA diversi nodi allegano contemporaneamente più transazioni a più punti del Tangle: una garanzia di velocità per le comunicazioni nell’IoT.
Ora che sai che cos’è l’Internet of Things (IoT) e quali applicazioni blockchain potrebbero supportarlo, puoi approfondire la fase storica che vedrà la concretizzazione di queste innovazioni: il Web 3.0, la prossima forma di Internet.