Cos’è l’Internet of Things (IoT) e a cosa serve?
22 marzo, 2023
12 min
Hai mai cercato la definizione di Internet of Things, per capire cos’è, o magari qualche esempio di IoT per comprenderne il significato? Troviamo una risposta partendo dalla nostra vita quotidiana, dove possiamo trovare dispositivi intelligenti: smartphone e smartwatch, assistenti vocali (come Siri o Alexa), passando per domotica ed elettrodomestici di ultima generazione. Questi strumenti sono utili appunto quando possono comunicare tra loro, creando un rete: l’Internet of Things (IoT).
Cos’è l’Internet of Things (IoT): definizione e significato
Un network di oggetti fisici e sistemi di elaborazione dati (come server o cloud) che, connessi attraverso internet, si scambiano le informazioni raccolte e/o elaborate, così da fare previsioni o modificare l’ambiente: ecco spiegato cos’è l’Internet of Things, ma cerchiamo di approfondire il significato di IoT, facendo degli esempi.
Consideriamo le smart car, veicoli con sensori e software integrati che monitorano costantemente qualsiasi parametro di funzionamento e lo analizzano per consigliare interventi (la cosiddetta “manutenzione predittiva”). Allo stesso modo, la funzione di guida autonoma controlla lo spazio circostante per prevenire collisioni ed è completata dalle comunicazioni con le infrastrutture per la gestione del traffico. Oltre agli strumenti diagnostici e di supporto, però, le smart car si collegano a smartphone e altri dispositivi, attraverso Bluetooth, USB, e WiFi, per fornire informazioni e intrattenimento. L’NFC (Near Field Communication), infine, rende possibile il car sharing, sempre gestito attraverso app mobile.
Tutti questi elementi interconnessi, tuttavia, sono solo un sottoinsieme di un ampio sistema: per capire davvero la definizione di Internet of Things, dobbiamo osservare come interagiscono tra loro i livelli della sua struttura generale. I paragrafi successivi, quindi, rappresentano proprio il percorso seguito dalle informazioni nell’IoT, partendo dai dispositivi “estremi”, passando per il Cloud, per poi tornare all’utente o influenzare direttamente l’ambiente.
Sensori/Dispositivi IoT
Possiamo rappresentare il significato di IoT sfruttando l’immagine di un organismo “virtuale”. I 5 sensi fungono da sensori per il sistema, monitorando l’ambiente: inviano le sensazioni (fenomeni fisici) attraverso il sistema nervoso (il protocollo di comunicazione) per raggiungere il cervello (il cloud). Qui le informazioni vengono registrate in memoria (storage) ed elaborate (computing) per trovare soluzioni. Queste verranno poi tradotte in comandi da inviare ad altri centri nervosi (attuatori) che li indirizzeranno alle varie parti del corpo (target), per modificare le condizioni dell’ambiente che circonda l’organismo.
In questa spiegazione “anatomica” di cos’è l’Internet of Things, quindi, i sensori sono dispositivi, o parti di essi, che raccolgono informazioni dall’ambiente e le traducono in dati grezzi, al fine di inviarli ad altre unità dell’IoT. Il loro compito principale è, appunto, trasformare fenomeni fisici (come temperatura, battito cardiaco, composizione dell’aria, ecc) in dati digitali.
Protocolli di comunicazione (connectivity layer)
Proseguendo nella definizione di Internet of Things, i dati aggregati dai sensori devono essere trasmessi, perciò i dispositivi IoT periferici hanno bisogno di un linguaggio per comunicare.
A tal proposito, i protocolli e gli standard esistenti possono essere divisi per distanza di competenza: WiFi, Bluetooth ed NFC (Near Field Communication), ad esempio, gestiscono le comunicazioni a corto raggio; mentre, per inviare dati attraverso internet, avremo bisogno del protocollo TCP/IP.
Il significato di IoT è quindi sviluppato dalle smart gateway e dal Cloud, i due possibili “destinatari” delle comunicazioni.
Smart Gateway (security e management layer)
Tutti i sensori potrebbero connettersi direttamente al Cloud attraverso internet, ma questo richiederebbe molta energia. Perciò, si preferisce trasferire i dati raccolti ad una smart gateway, attraverso WiFi o Bluetooth ad esempio, che gestirà le comunicazioni bidirezionali con il Cloud.
La mediazione delle gateway ha anche altri scopi:
- Mantenere la sicurezza, controllando gli accessi al network dell’Internet of Things e crittografando i dati;
- Trasmettere i comandi agli attuatori, dispositivi IoT che vedremo in seguito;
- Eseguire un’elaborazione preliminare dei dati, così da riassumerli e trasmettere solo quelli rilevanti, riducendo anche la latenza (tempo) delle comunicazioni.
Per capire cos’è l’Internet of Things, quindi, dobbiamo raggiungere il Cloud, ovvero il suo nucleo centrale.
Cloud (computing e storage layer)
I dati raccolti dai sensori vengono analizzati, processati, e conservati nel Cloud, ovvero l’insieme delle risorse hardware e software messe a disposizione dal network di Internet. Qui i dati reali trovano uno scopo: vengono organizzati per essere utili ad altri dispositivi IoT. In realtà, esiste un modo alternativo di elaborare le informazioni: l’Edge Computing.
In questo caso, i calcoli e le operazioni sui dati vengono eseguite direttamente dai dispositivi che stanno alla “periferia” nella definizione di Internet of Things. Non è quindi necessario comunicare con il Cloud, perché gli “oggetti” processano in autonomia le informazioni raccolte, riducendo il traffico e migliorando le prestazioni del network. L’Edge Computing sarà un elemento tipico del Web 3.0, la prossima fase di Internet, ma è ciò che già accade con smartphone, smartwatch e computer.
Attuatori
Le informazioni raccolte dai sensori, dopo essere state processate, potrebbero segnalare la necessità di un cambiamento. Perciò, i dati vengono trasformati in comandi, inviati poi agli attuatori, dispositivi IoT che causano risposte di oggetti target. Questi ultimi sono strumenti o altre entità fisiche in grado di esercitare un’influenza sull’ambiente, così da modificarne lo stato. Gli attuatori, dunque, non agiscono direttamente sul contesto, ma delegando il compito completano il significato di Internet of Things: ora sappiamo cos’è, avendo osservato un suo “ciclo” completo.
NB
Una “smart home” spesso ha bisogno di connessione diretta tra sensori e attuatori, senza necessità di calcoli, perciò esclude il collegamento ad internet e al cloud. Nonostante ciò, la domotica è spesso considerata tra gli esempi di Internet of Things.
Applicazioni/interfacce utente
L’IoT non è solo automazione, l’utente ha un ruolo fondamentale nella definizione di Internet of Things: attraverso applicazioni e interfacce, noi possiamo interagire con il sistema e sfruttarlo per i nostri scopi. Infatti, grazie a dispositivi come smartphone, tablet o smartwatch, non solo possiamo controllare da remoto i nostri oggetti “intelligenti”, ordinando cambiamenti, ma possiamo impostare le nostre “preferenze” e ricevere notifiche personalizzate dai sensori.
L’IoT, però, ha utilità anche oltre il quotidiano: ricercatori di ogni settore possono sfruttare la potenza di calcolo del Cloud per processare i Big Data raccolti dai sensori, utili a fini statistici e sperimentali.
Big Data
Il termine Big Data fa riferimento ad un grande insieme di dati, più o meno strutturati per volume, velocità e varietà, concetto noto come le tre V. La complessità dei Big Data è processata attraverso metodi computazionali avanzati, alla ricerca di modelli, tendenze e correlazioni, utili a prevedere eventi futuri o ad analizzare il comportamento umano.
Avendo quindi capito che cos’è l’Internet of Things (IoT), forse avrai intuito l’importanza della compatibilità e dell’interoperabilità degli oggetti nel network. Oltre a ciò, potremmo sottolineare la necessità di un registro accessibile a tutti per le informazioni condivise. Ti suona familiare? Sono caratteristiche della tecnologia blockchain, di cui le criptovalute sono i principali prodotti. Dunque, quali esempi di Internet of Things possiamo trovare nel mondo crypto? Scopriamo le applicazioni ed alcuni casi d’uso.
Blockchain e IoT: decentralizzazione, affidabilità e sicurezza
Conosciamo già le soluzioni blockchain in ambito finanziario, dato che la criptovaluta Bitcoin è stata la prima applicazione di questa tecnologia. I blocchi, tuttavia, potrebbero contenere informazioni diverse da transazioni di coin e token: qualsiasi dato può essere registrato in modo immutabile e distribuito su blockchain. Perciò, potremmo usare questa tecnologia come layer di comunicazione tra dispositivi IoT, risolvendo così alcune criticità nella definizione di Internet of Things.
Innanzitutto, le informazioni registrate dai sensori sono utili solo se veritiere: la forma attuale dell’IoT, quindi, usa un meccanismo di validazione basato su intermediari (gateways) ed entità centralizzate. La blockchain, invece, trasformerebbe la struttura dell’Internet of Things da Client/Server a Peer-to-Peer: distribuire la verifica delle informazioni, attraverso meccanismi di consenso (come nelle criptovalute), può essere utile per curare l’affidabilità dei dati sin dal principio del processo. Questo renderebbe l’IoT un sistema trustless e decentralizzato, in modo che i dispositivi possano comunicare direttamente, senza quindi la necessità di un intermediario che confermi le informazioni.
La maggior parte dei dispositivi IoT sono già inseriti in una Public Key Infrastructure (PKI), ma se i messaggi cifrati, attraverso l’identità crittografica, darebbero origine ad una “reputazione” se fossero registrati su blockchain. Quindi, oltre a sapere se un dispositivo ha uno “storico” attendibile, nei blocchi verrebbe conservato anche cosa ha trasmesso e a chi, in modo trasparente e sempre accessibile in una cronologia eterna. Inoltre, nonostante le comunicazioni siano tracciate, ogni entità conserverebbe la sua privacy, siccome l’identità sarebbe rappresentata da stringhe alfanumeriche (le chiavi pubbliche).
La sicurezza della crittografia, se estesa all’intero network, potrebbe poi allontanare l’eventualità di attacchi DDoS (Distributed Denial of Service): l’architettura a doppia chiave, in poche parole, contrasterebbe i tentativi di hack. In ultimo, il significato di Internet of Things sarebbe ampliato dalla tecnologia degli smart contract, supportata da molte blockchain. La struttura dell’IoT potrebbe così liberarsi degli attuatori, sostituendoli con software decentralizzati su blockchain.
Esempi di Internet of Things e casi d’uso
Rimaniamo nel mondo crypto per osservare qualche applicazione della tecnologia blockchain all’IoT, dimostrazione di diversi casi d’uso.
Il primo fra gli esempi di Internet of Things può essere trovato nelle supply chain, in italiano catene di approvvigionamento: la rete di entità (aziende e persone), attività, risorse ed informazioni che permette di consegnare prodotti e servizi al consumatore finale. In pratica, è il network di fornitori, magazzini e supermercati che ci fa trovare i prodotti sugli scaffali.
Questo processo necessita di stretto monitoraggio per rispettare standard di sicurezza, igienici e di sostenibilità ma anche di efficienza e profittabilità. Perciò, tracciare la merce a diversi livelli è essenziale: i sensori IoT possono rilevare qualsiasi tipo di parametro utile alle supply chain, come posizione dei prodotti o condizioni di stoccaggio, inviarli al cloud per l’elaborazione e, dopodichè, stimolare interventi.
La blockchain, a sua volta, può registrare in modo distribuito tutti i dati generati in questo scambio. Ciò permette di ricostruire i percorsi dei materiali, dalla produzione alla distribuzione, fino alla vendita, e di formulare analisi predittive e prescrittive, per ottimizzare i processi e coordinare le unità.
Esiste già un’implementazione di IoT e blockchain nelle supply chain, è stata presentata all’evento Polkadot Decoded di fine giugno 2022: si tratta di Origin Trail, un’infrastruttura multichain (Ethereum, Polygon e parachain Polkadot, tra le altre) che raccogliere informazioni e le organizza in blockchain attraverso i knowledge graph, rendendole affidabili e consultabili.
Il secondo esempio di Internet of Things è un’altra intersezione con la blockchain, che avviene nella componente Cloud: le risorse elaborate e contenute qui possono essere anche amministrate dalla tecnologia blockchain, in modo decentralizzato. A tal proposito, abbiamo già parlato del cloud storage di IPFS, Storj, Filecoin e dell’indicizzazione dei dati di The Graph, ma riassumiamo brevemente.
I dati provenienti dai dispositivi IoT possono essere immagazzinati nell’archivio decentralizzato di IPFS: gli utenti dotati di hardware inutilizzati possono contribuire prestando il loro spazio di memoria, ricevendo in cambio token come FIL o STORJ. Infine, gli archivi decentralizzati possono ospitare le informazioni generate dall’IoT, ma come recuperarle? The Graph rende semplice trovare qualsiasi dato registrato su blockchain.
Il terzo esempio riguarda l’integrazione tra l’IoT e le Distributed Ledger Technology (DLT), il gruppo di cui anche la blockchain fa parte. In particolare, il registro distribuito di IOTA e la sua criptovaluta MIOTA sono progettati per immagazzinare ed elaborare le transazioni generate dai dispositivi IoT. La struttura adibita alla verifica delle informazioni scambiate è detta Tangle: basata su Directed Acyclic Graph (DAG), un protocollo che processa più messaggi in parallelo. Il Tangle differisce dalla blockchain perché, in quest’ultima, le transazioni hanno un singolo punto di “aggancio”, ovvero il prossimo blocco, prodotto singolarmente da un solo nodo. Mentre, nel network di IOTA, ogni nuovo messaggio può essere attaccato fino ad altri 8 che l’hanno preceduto, senza creare blocchi o scegliere un leader per la validazione. In IOTA diversi nodi allegano contemporaneamente più transazioni a più punti del Tangle: una garanzia di velocità per le comunicazioni nell’IoT.
Ora che dalla definizione di Internet of Things (IoT) sappiamo cos’è e ne abbiamo capito il significato, possiamo cercarne altri esempi, partendo magari dalle applicazioni all’Intelligenza Artificiale e al machine learning.